alex scuote la testa e mi dice ‘non ci crederesti a quanto eravamo poveri, non ci crederesti’. ‘vero?’ ‘vero’, dice brian. ‘io ero senza casa e lavoravo in un negozio di scarpe’, dice alex. ‘Io facevo il muratore’, fa brian. ‘mica potevi fare solo il musicista’, concludono.
io da grande volevo fare la traduttrice letteraria. l’ho capito tardi, a 24 anni, quando con una laurea triennale in scienze politiche ho preferito, alla specialistica nello stesso ramo, una triennale in traduzione, appunto.
ero felice di quello che studiavo, ero contenta di stare ore immersa nei dizionari, ero soddisfatta della mia tesi di traduzione di un manuale (sbadiglio) universitario (sbadiglio) di economia (sbadiglio) dell’ambiente (eh?!).
la prima delusione l’ho avuta quando il primo giorno di lavoro mi hanno detto che mi sarei occupata di gossip. cosa?! ho pensato. io, una laurea in scienze politiche, una in traduzione, un abbonamento ad adbusters e un altro a internazionale, io figlia di mio padre e figlia di mia madre Signore & Signora Impegnati, io a scrivere di gossip.
no, grazie.
ma l’ho fatto, per i primi tre mesi del mio primo lavoro post laurea ho scritto gossip. divertendomi, anche.
la seconda delusione l’ho avuta quando una delle più grandi agenzie di traduzione d’europa mi ha detto: no, grazie, non sei all’altezza.
la terza delusione l’ho avuta quando al oarlamento europeo mi hanno detto: no, grazie, non sei all’altezza.
la quarta delusione l’ho avuta quando l’unica casa editrice delle tante a cui avevo proposto una traduzione si tirò indietro dopo avermi detto di essere interessata al libro. no, grazie, eccetera.
due anni fa i gaslight anthem volevano rinunciare al loro sogno. dici sul serio? chiedo a brian sgranando gli occhi. sì, non avevamo più 20 anni e ci sembrava assurdo continuare senza nessun risultato. volevamo mollare. per fortuna che non l’avete fatto, penso. altrimenti non sareste finiti a suonare no surrender con bruce springsteen a hyde park, l’anno scorso.
non sono qui a dire che basta crederci, a un sogno, perché si realizzi. dopotutto io non faccio la traduttrice, adesso. scrivo, faccio un lavoro per certi versi migliore di altri più faticosi e stressanti, parlo di ciò che voglio e quando mi va bene intervisto gente in gamba come brian e alex dei gaslight anthem. non penso che basti una grande forza di volontà per ottenere ciò che vogliamo.
perché alle volte ciò che vogliamo non possiamo ottenerlo.
il punto non è ottenere esattamente ciò che vogliamo. il punto è essere abbastanza adulti da saper plasmare ciò che vorremmo su ciò che abbiamo. se c’è un momento, nella vita di una persona, in cui si passa dall’età adolescente all’età adulta non è la prima volta in cui si fa sesso, non è la patente, non la prima sbronza non il primo ti amo, non il primo cuore spezzato. à il momento in cui, pur rendendoci conto di non poter avere esattamente ciò che vogliamo, proseguiamo per la nostra strada senza rinunciare al nostro sogno, ma modificandolo al punto di renderlo fattibile. essere adulti, per me, significa questo. scendere a compromessi con se stessi, senza pensare che sia denigratorio, sbagliato o umiliante.
non lo so, se i gaslight anthem sono scesi a compromessi, nella loro carriera. questo non gliel’ho chiesto. forse sì: con la loro casa discografica, nello scrivere i pezzi, in tour o per ottenere il contratto con la levi’s. so che loro come bruce springsteen mi danno l’impressione di gente disposta a faticare, a mettere da parte i sogni campati in aria e a dire ok, cosa possiamo fare con quello che abbiamo?
avrei voluto contare quante volte bruce usa il verbo work nelle sue canzoni. sarebbe stato un bel modo di cominciare questo post. ma nella casa nuova non ho internet.
anche questo, assieme al gossip, al secondo lavoro e alle traduzioni gratis per NBM, è un compromesso che ho scelto di accettare.
io da grande volevo fare la traduttrice letteraria. l’ho capito tardi, a 24 anni, quando con una laurea triennale in scienze politiche ho preferito, alla specialistica nello stesso ramo, una triennale in traduzione, appunto.
ero felice di quello che studiavo, ero contenta di stare ore immersa nei dizionari, ero soddisfatta della mia tesi di traduzione di un manuale (sbadiglio) universitario (sbadiglio) di economia (sbadiglio) dell’ambiente (eh?!).
la prima delusione l’ho avuta quando il primo giorno di lavoro mi hanno detto che mi sarei occupata di gossip. cosa?! ho pensato. io, una laurea in scienze politiche, una in traduzione, un abbonamento ad adbusters e un altro a internazionale, io figlia di mio padre e figlia di mia madre Signore & Signora Impegnati, io a scrivere di gossip.
no, grazie.
ma l’ho fatto, per i primi tre mesi del mio primo lavoro post laurea ho scritto gossip. divertendomi, anche.
la seconda delusione l’ho avuta quando una delle più grandi agenzie di traduzione d’europa mi ha detto: no, grazie, non sei all’altezza.
la terza delusione l’ho avuta quando al oarlamento europeo mi hanno detto: no, grazie, non sei all’altezza.
la quarta delusione l’ho avuta quando l’unica casa editrice delle tante a cui avevo proposto una traduzione si tirò indietro dopo avermi detto di essere interessata al libro. no, grazie, eccetera.
due anni fa i gaslight anthem volevano rinunciare al loro sogno. dici sul serio? chiedo a brian sgranando gli occhi. sì, non avevamo più 20 anni e ci sembrava assurdo continuare senza nessun risultato. volevamo mollare. per fortuna che non l’avete fatto, penso. altrimenti non sareste finiti a suonare no surrender con bruce springsteen a hyde park, l’anno scorso.
non sono qui a dire che basta crederci, a un sogno, perché si realizzi. dopotutto io non faccio la traduttrice, adesso. scrivo, faccio un lavoro per certi versi migliore di altri più faticosi e stressanti, parlo di ciò che voglio e quando mi va bene intervisto gente in gamba come brian e alex dei gaslight anthem. non penso che basti una grande forza di volontà per ottenere ciò che vogliamo.
perché alle volte ciò che vogliamo non possiamo ottenerlo.
il punto non è ottenere esattamente ciò che vogliamo. il punto è essere abbastanza adulti da saper plasmare ciò che vorremmo su ciò che abbiamo. se c’è un momento, nella vita di una persona, in cui si passa dall’età adolescente all’età adulta non è la prima volta in cui si fa sesso, non è la patente, non la prima sbronza non il primo ti amo, non il primo cuore spezzato. à il momento in cui, pur rendendoci conto di non poter avere esattamente ciò che vogliamo, proseguiamo per la nostra strada senza rinunciare al nostro sogno, ma modificandolo al punto di renderlo fattibile. essere adulti, per me, significa questo. scendere a compromessi con se stessi, senza pensare che sia denigratorio, sbagliato o umiliante.
non lo so, se i gaslight anthem sono scesi a compromessi, nella loro carriera. questo non gliel’ho chiesto. forse sì: con la loro casa discografica, nello scrivere i pezzi, in tour o per ottenere il contratto con la levi’s. so che loro come bruce springsteen mi danno l’impressione di gente disposta a faticare, a mettere da parte i sogni campati in aria e a dire ok, cosa possiamo fare con quello che abbiamo?
avrei voluto contare quante volte bruce usa il verbo work nelle sue canzoni. sarebbe stato un bel modo di cominciare questo post. ma nella casa nuova non ho internet.
anche questo, assieme al gossip, al secondo lavoro e alle traduzioni gratis per NBM, è un compromesso che ho scelto di accettare.
4 comments:
Grazie per il post che condivido in pieno. Purtroppo siamo circondati da persone adulte che sbattono i piedi e frignano come bambini di cinque anni quando la mamma gli dice: "no, quel giocattolo non te lo compro" e loro, essendo bambini, hanno anche ragione. Un adulto dovrebbe poter capire che ci sono migliaia di giocattoli sulla propria strada, che sono occasioni. Magari un giorno riusciremo anche a comperare "il" giocattolo con la G maiuscula. Però intanto, cazzo, smetti di frignare e vivi. Santo cielo :) Scusa per il commento sconclusionato. Blondeinside
:)
Gospel, sister. Anche secondo me crescere significa proprio questo: non credere meno, o credere in altro, ma lavorare in modo che i sogni e la realtà siano sempre più vicini. Non è una sconfitta, non è un'arresa, è la capacità di comprendere e di prendere il proprio posto conoscendo i limiti reali della vita e di se stessi.
Come dice Blonde siamo pieni di gente con richieste da bambini viziati e sogni nel cassetto, e anche io ne ho abbastanza le scatole piene di questi discorsi.
Ti ringrazio per "il punto non è ottenere esattamente ciò che vogliamo". Da l' in poi.
Grazie davvero. Ne avevo bisogno.
marcutz
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