giovedì 22 luglio 2010

in cui bruce springsteen ci insegna a scrivere #2


la puntata precedente (che poi uno non si immagina che diventino puntate, ovvero che ci sia altro di cui parlare, e altro ancora, e ancora), la puntata precedente, dicevo, parlava di the river.

poi c'è thunder road.
thunder road la conosciamo un po' tutti: sia chi ama bruce sia chi lo ascolta distrattamente quando lo passano in radio.
la porta sbatte, il vestito di mary fluttua al vento, lei danza come un'apparizione sulla veranda di casa mentre roy orbinson canta per chi è solo.
cinque frasi e sei già in new jersey, sulla macchina insieme a quel ragazzo senza nome, ad aspettare anche tu mary.
mary che è spaventata, il suo ragazzo che è spaventato: la paura di rimanere soli e quella di accontentarsi, quella di lasciarsi sfuggire la possibilità di qualcosa di concreto, reale.

se la scrittura di eddie vedder è visionaria, sfuocata e intangibile, quella di bruce springsteen ha una concretezza senza pari, se i pensieri di eddie vedder arrivano come farfalle, quelli di bruce hanno ruote, anzi: barattano ali per ruote di un'auto diretta in un paradiso che non è ultraterreno, ma che si può raggiungere adesso, se sei pronta a colmare la distanza che separa la tua veranda dal mio sedile.

non sprecare la tua estate pregando invano per qualcuno che ti salvi: non ci sono eroi, ma ci sono io e tutta la salvezza che posso darti è nascosta dietro al cofano della mia auto (anche se bruce col cappuccio può dare moltissimo, cit.), insieme alla possibilità di fare qualcosa di buono, in qualche modo. ecco la bellezza di thunder road.

proviamoci, dice bruce

thunder road è tante cose, molte delle quali probabilmente non ho ancora colto, ma più di ogni altra canzone è un inno al dovere di vivere la propria vita tenendo a bada i sogni: sognando, ma sapendo che quei sogni vanno riportati a terra, per realizzarli.
non sono le ali che ci libereranno, ma le ruote di un'auto, una strada a due corsie e la notte, che con un'esplosione si schiude ai tuoi piedi.
una notte magica, se avrai fede in lei.

è così sobrio, bruce springsteen, che ricorda raymond carver, ma con una gamma infinitamente più ampia di colori ad abitare le sue parole.

le mie due strofe preferite sono queste:
except roll down the window
and let the wind blow back your hair
mi ricordano, se la conoscete, kathleen di josh ritter. anche qui un ragazzo aspetta una ragazza, che spera di accompagnare a casa a fine serata. è innamorato perso di lei, ma lei è la stella più brillante della serata e non c'è verso che lo noti. e a un certo punto, mentre lui aspetta e sogna di accompagnarla a casa, la canzone fa così:
I know you are waiting and I know that it is not for me,
But I'm here and I'm ready and I saved you the passenger seat.
forse la bellezza di una canzone, di due strofe, si può misurare su quante emozioni riesce a contenere. perchè nè bruce springsteen nè josh ritter sono spensierati, in quelle strofe: nessuno dei loro personaggi è un vincente, in assoluto. entrambe le speranze che senti pulsare - e le senti pulsare davvero se ascolti con attenzione quelle canzoni - entrambe le speranze convivono con l'amarezza, con l'imperfezione dei sogni e con la delusione. con la consapevolezza che spesso nella vita non si ottiene esattamente ciò che si vuole,
ma non per questo il viaggio è meno eccitante.

in fondo, basta abbassare il finestrino e lasciare che il vento ti spettini i capelli.

5 comments:

Byron ha detto...

Un tatuaggio all'interno dell'aorta: show a little faith, there's magic in the night

(anche se poi il pezzo che mi stringe il cuore fortissimo tutte le volte è: i know you're lonely for words that I ain't spoken/but tonight we'll be free/all the promises will be broken)

Cri ha detto...

Come te, quel tonight will be free a me fa venire un dito di pelle d'oca, perche' qualunque cosa ti stia capitando attorno una notte cosi c'e' in giro da qualche parte ad aspettarti, non solo sulle strade del buon vecchio Jersey...ah la nostalgia!

Ivan ha detto...

In un live di cui non ricordo il nome, la suonò e dopo gli chiesero di spiegarla. La genesi, le parole, il perchè. L'unica parola intellegibile che riuscì a pronunciare fu: "It's an invitation..." Lo ripetè tre volte, come se non sapesse che altro stessero cercando.
A settembre parto per Auckland suonandomela con l'armonica, per non dimenticarmelo.

Rachele ha detto...

ivan che fortuna, goditi auckland!

Byron ha detto...

Comunque per me la versione più bella di tutte è <a href="http://www.youtube.com/watch?v=hf61K6ZKu_4>questa</a>, senza bisogno di spiegazioni. Brividi.

 
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