la vita, sentimentalmente parlando, si può affrontare in tanti modi.
elenchiamone alcuni giusto per far capire a chi ancora mi legge che sono viva.
sentimentalmente parlando, dicevamo, si può:
a) scegliere la solitudine
b) essere scelti dalla solitudine
c) credere nell'esistenza di una sola anima gemella
d) credere nell'esistenza di più anime gemelle
e) accontentarsi
f) non porsi nemmeno il problema
l'accontentarsi spesso è innato, altre volte - invece - deriva dall'aver sofferto, dall'aver passato lunghi periodi di solitudine e - fondamentalmente - dal non poterne più.
l'accontentarsi, tanto per capirci, da queste parti non è giudicato come una cosa negativa. anzi: non è giudicato affatto.
personalmente, io nasco come donna rientrante nella categoria c), a un certo punto della mia vita ho virato sulla categoria d) per giungere ora a un bivio tra la categoria a) e la categoria e).
a questo punto mi viene in aiuto un'interessante articolo che ho trovato grazie ai ragazzi di finzioni magazine su shmoop.com.
l'articolo si intitola: 9 lezioni che la letteratura ci ha insegnato sull'amore.
al quinto posto troneggiano charles dickens e il suo great expectations.
la quinta lezione è la seguente:
al bivio tra lo scegliere la solitudine e l'accontentarmi siedo proprio in questi giorni.
a minuti mi trasformo in paladina della prima, a minuti mi rifugio nella comodità della seconda. niente più cene di coppia spaiata, penso. niente più domande imbarazzanti da parte di amici e parenti, mi ripeto. niente più convivenza forzata con i miei genitori, mi tento.
(sì, perchè in caso non foste di milano: trovare una singola in un appartamento a un prezzo decente è praticamente impossibile. ho detto praticamente, già. e sapete qual è il trucco? avere un fidanzato con cui dividere nell'ordine affitto, stanza e vita).
così, mentre accarezzo l'idea di accontentarmi, valuto i tanti pro e i pochi contro.
poi leggo dickens e rispondo alla telefonata sbagliata,
e realizzo che se hai la fortuna/sfortuna di crescere con l'idea che l'amore sia un sentimento che riempie e non un riempitivo, c'è poco da fare e ancora meno da fingere.
occupiamo gran parte della nostra vita fingendo, del resto, calandoci più o meno inconsciamente in ruoli prestabiliti, ingannandoci e convincendoci di scelte che non ci soddisfano.
non riesco a trovare un buon motivo per farlo anche in amore. o meglio, non riesco a farlo.
se la sensazione - quasi costante - è che la vita non possa mai essere vissuta al suo pieno,
vorrei che almeno l'amore lo fosse.
allora qual è il trucco del titolo di questo post?
scegliete con cura il vostro compagno o la vostra compagna
che siano, per voi, l'unica scelta desiderabile. che siano la migliore scelta possibile.
nell'era che i sociologi chiamano del consumismo più sfrenato, tutto è sostituibile: che almeno la persona che ci sta a fianco non lo sia.
questo
e anche: be true to yourselves. (in inglese, perchè per una volta non saprei come tradurlo in italiano).
elenchiamone alcuni giusto per far capire a chi ancora mi legge che sono viva.
sentimentalmente parlando, dicevamo, si può:
a) scegliere la solitudine
b) essere scelti dalla solitudine
c) credere nell'esistenza di una sola anima gemella
d) credere nell'esistenza di più anime gemelle
e) accontentarsi
f) non porsi nemmeno il problema
l'accontentarsi spesso è innato, altre volte - invece - deriva dall'aver sofferto, dall'aver passato lunghi periodi di solitudine e - fondamentalmente - dal non poterne più.
l'accontentarsi, tanto per capirci, da queste parti non è giudicato come una cosa negativa. anzi: non è giudicato affatto.
personalmente, io nasco come donna rientrante nella categoria c), a un certo punto della mia vita ho virato sulla categoria d) per giungere ora a un bivio tra la categoria a) e la categoria e).
a questo punto mi viene in aiuto un'interessante articolo che ho trovato grazie ai ragazzi di finzioni magazine su shmoop.com.
l'articolo si intitola: 9 lezioni che la letteratura ci ha insegnato sull'amore.
al quinto posto troneggiano charles dickens e il suo great expectations.
la quinta lezione è la seguente:
don't change for love: "By degrees she led me into more temperate talk, and she told me how Joe loved me, and how Joe never complained of anything – she didn’t say, of me; she had no need; I knew what she meant – but ever did his duty in his way of life, with a strong hand, a quiet tongue, and a gentle heart".cosa c'entra charles dickens in tutto questo?
al bivio tra lo scegliere la solitudine e l'accontentarmi siedo proprio in questi giorni.
a minuti mi trasformo in paladina della prima, a minuti mi rifugio nella comodità della seconda. niente più cene di coppia spaiata, penso. niente più domande imbarazzanti da parte di amici e parenti, mi ripeto. niente più convivenza forzata con i miei genitori, mi tento.
(sì, perchè in caso non foste di milano: trovare una singola in un appartamento a un prezzo decente è praticamente impossibile. ho detto praticamente, già. e sapete qual è il trucco? avere un fidanzato con cui dividere nell'ordine affitto, stanza e vita).
così, mentre accarezzo l'idea di accontentarmi, valuto i tanti pro e i pochi contro.
poi leggo dickens e rispondo alla telefonata sbagliata,
e realizzo che se hai la fortuna/sfortuna di crescere con l'idea che l'amore sia un sentimento che riempie e non un riempitivo, c'è poco da fare e ancora meno da fingere.
occupiamo gran parte della nostra vita fingendo, del resto, calandoci più o meno inconsciamente in ruoli prestabiliti, ingannandoci e convincendoci di scelte che non ci soddisfano.
non riesco a trovare un buon motivo per farlo anche in amore. o meglio, non riesco a farlo.
se la sensazione - quasi costante - è che la vita non possa mai essere vissuta al suo pieno,
vorrei che almeno l'amore lo fosse.
allora qual è il trucco del titolo di questo post?
scegliete con cura il vostro compagno o la vostra compagna
che siano, per voi, l'unica scelta desiderabile. che siano la migliore scelta possibile.
nell'era che i sociologi chiamano del consumismo più sfrenato, tutto è sostituibile: che almeno la persona che ci sta a fianco non lo sia.
questo
e anche: be true to yourselves. (in inglese, perchè per una volta non saprei come tradurlo in italiano).
4 comments:
leggo da molto il tuo bel blog senza commentare, anche quando eri su cannella...mi piace il ritrovare qui la mia lieve (lieve?)ossessione del partire/andare/tornare (nel mio caso, giappone), la sfiducia nel mercato lavorativo del nostro paese (io sono emigrata a londra 3 anni fa per questo) ma la voglia di non mollare...
concordo su tutto il post, in particolare sul prezzo degli appartamenti e di quanto sia meglio avere un fidannzato, se si vuole lasciare il nido o finalmente smettere di fare flatshare- mi porto dietro 12 anni di "coinquilinaggio"...
grazie per avermi strappato un sorriso e in genere per condividere il tuo pensiero qui,con noi,...mi hai fatta spesso sentire meno sola nelle mie riflessioni-sfide di ogni giorno...
silvia
silvia, grazie per le parole e per questo commento. è bello sapere che non sono l'unica ossessionata dal partire e dall'andare ed è bello sapere che si può fare, come hai fatto tu. trasferirsi eccetera, dico.
grazie a te per il sorriso che mi hai strappato con il tuo commento :)
ti stai sempre più hornbinizzando.
brava, molto bello questo post.
io allora appartengo alla categoria g: quella che non crede all'anima gemella (perché l'anima gemella è un concetto potenziale e sempre si scontra con la realtà) e crede invece più all'idea di completarsi. non so come altro spiegarlo.
di certo le volte in cui mi è piaciuto qualcuno di simile a me non sono andata lontano.
:-)
grazie alli per l'hornby-riferimento :)
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