domenica 25 aprile 2010

in cui mio nonno piangeva

si chiamava adriano ragazzini ed è morto per un errore dei medici, ma questa è un'altra storia.
è morto prima che io nascessi e nessuno lo chiamava adriano.
per le figlie, per sua moglie e per gli amici del circolo dei comunisti era tonino.
tonino ha fatto il partigiano,
il nonno era un partigiano, mi raccontava mia madre
parmigiano, partigiano, qual è la differenza pensavo da bambina
il partigiano, alla fine, ha fatto la differenza
è così che ha conosciuto la nonna, da partigiano
il papà della nonna li nascondeva, lui e un suo altro compagno, sotto il ponte del laghetto vicino a casa, rischiando, così, tutta la famiglia.
la nonna non ne voleva sapere di tonino, non le piaceva,
lui un giorno le ha detto se non mi sposi mi uccido e lei cos'altro poteva fare?
si sono sposati,
il suo fucile da caccia sta ancora in cima all'armadio dello studio,
i suoi sandali sotto il letto matrimoniale che hanno condiviso,
il suo fazzoletto della brigata garibaldi stirato, piegato e conservato in un cassetto.
tonino il partigiano.
per tutta la mia infanzia e per gran parte della mia adolescenza la parola partigiano è stata indelebilmente legata all'immagine che avevo di mio nonno.
l'una completava il significato dell'altra.
tonino il partigiano aveva meno dei miei anni quando dall'emilia romagna è partito verso la lombardia per fare la resistenza.
non era un eroe, non era più coraggioso di tanti altri.
nella casa del padre di quella che sarebbe poi diventata sua moglie, la sorella di mia nonna l'aveva trovato nascosto in una camera
al piano di sopra, seduto a terra piangeva
perchè aveva paura,
di essere preso,
di sbagliare,
di non essere abbastanza forte per non parlare.

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