martedì 28 aprile 2009

there are planets you don't know, and there are moons that you don't see, invisibles between the rings of mars and mercury

le categorie, insieme al cane, sono le migliori amiche degli esseri umani. tendiamo - chi più chi meno - a semplificare, per accettare. e a categorizzare, per comprendere.
di solito, quando parlo di viaggiare, scivolo per chi mi ascolta in due categorie:
a) viaggio perchè sto scappando da qualcosa/qualcuno/eventualmente anche me stessa
b) viaggio perchè ho tempo da perdere e mi piace andare all'avventura
in what is the what, verso la fine del libro, valentino finalmente riesce a parlare con suo padre, poco prima di partire per gli stati uniti:

when my father and i could hear each other again, he was still talking, as if he had never been interrupted. he was lecturing now, far from amused, his voice raised.
- you have to go, boy. are you crazy? this town is still ashen from the last attack. don’t come here. i forbid it. go to the united states. go there tomorrow.
- but what if i never see you again? i said
- what? you’ll see us. the only way you’ll see us is if you get to the united states. come back as a successful man.
- but father, what -
- yes, the What. right. get it. this is it. go. i am your father and i forbid you to come to this place.
the connection snapped closed for good. the somali could not regain it.
so that was that.

in where the wild things are max lascia spontaneamente la sua cameretta per andare con l'immaginazione nel paese dei mostri selvaggi.
max ritorna in una cameretta non più delimitata da pesanti margini bianchi,
e fuori dall'ultima pagina di what is the what, valentino ritorna a marial bai, per rivedere la sua famiglia.
max, valentino e io abbiamo storie diverse, ma non ci accomuna il desiderio di fuggire o il bisogno di avventura, entrambi motivi "superficiali" per andare.
si va, e si va in maniera più o meno prolungata o definitiva, perchè in qualche modo si ha bisogno di ritornare. valentino per necessità e max per volontà evadono dalle loro case per tornare cresciuti, consapevoli, lucidi. ritornano spontaneamente, perchè vogliono.
allora viaggiare diventa prendere le distanze da ciò che conosciamo per osservarlo da lontano, e non si tratta di fuggire, si tratta di un bisogno di ricerca dell'altro (i mostri selvaggi, max!) come metro di confronto. se viaggio e se desidero lasciare l'italia non è per sfuggire da me stessa o dal mondo degli adulti, non è perchè non sono pronta per la stabilità, ma perchè la stabilità renderebbe stabile la mia identità e, così facendo, la fossilizzerebbe.
si viaggia per sentirsi stranieri, per sentirsi i diversi, per veder ribaltati i propri punti di vista, perdere il senso dell'orientamento e faticare nel ritrovarlo.
viaggiare è abbandonare consapevolmente il centro attorno a cui ognuno di noi gravita, per cercarne un altro, e un altro ancora, e un altro ancora, in un processo infinito di ridefinizione della nostra identità.
e si viaggia anche per ritornare ed osservare il mondo che conoscevamo a menadito con occhi nuovi.
milano non mi è mai sembrata tanto nuova,
e tanto piccola.

2 comments:

S ha detto...

io ho deciso di partire perchè volevo sentirmi diverso. l'anno scorso mi sono sentito uguale agli altri, troppo uguale. non mi piacevo, non mi trovavo, mi sentivo perso. allora ho iniziato a viaggiare. cambiando compagnia, cambiando luoghi. ed un anno e mezzo dopo sono finito a lisbona. e l'ho capito solo ora, mentre di fronte a notre-dame de paris, alla shakespeare&co. mi sono comprato un prevert.
tuto questo solo per dirti: chè sono daccordissimo con te. e grazie. e se puoi, passa dalla shakespeare&co.
un abbraccio

Rachele ha detto...

ci sono stata tantissimo tempo fa alla shakespeare&co. ma tu invece quando vai a berlino? mi devi dare qualche dritta, forse ci capito ad agosto :)

 
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