domenica 8 agosto 2010

in cui dan mangan è convinto di non essere speciale

dan mangan è un cantautore di vancouver.

ci sono diversi motivi per cui mi piace:
  1. ha la barba
  2. è pacioccone
  3. è madrelingua inglese
  4. è la versione più carina di seth rogen (chi? io? io non ho mai detto di avere una cotta per seth rogen)
  5. sa scrivere cose come questa: So there's a puzzle I work on endlessly / And I've got the sides and all the corners / But there's a space / Yeah there's a space / Lost some pieces I can't replace
a disarmarmi, molto spesso, è la semplicità.
in una video intervista al telegraph (non esattamente il giornaletto del liceo), al minuto 1:06 dan mangan si lascia scappare un: "i'm all to aware of my" - sguardo laterale imbarazzato di chi sa che sta dicendo troppo - "unspecialness in terms of, you know, the things i go through in a day".
dan mangan non pensa di essere speciale
e
ora arriva la banalità: il primo passo verso il regno degli Speciali, è non considerarsi speciali.
che non stia fingendo lo conferma il fatto che, quando pronuncia quella frase, non guarda la telecamera: non è una posa, la sua, è la faccia di uno che sembra ripetersi: comesonofinitoaltelegraphnonlocapiròmai.
eppure lui al telegraph c'è arrivato. e meritatamente.
mi sono chiesta perchè.
capiamoci bene, non ho trascorso giorni e notti a riflettere sul perchè: il suo secondo album (nice, nice, very nice) mi piace e contiene almeno due canzoni (basket e the indie queens are waiting) che meritano.
questo mi bastava, finchè non ho visto la fine dell'intervista.
al minuto 3:06 dan parla della sua famiglia, dice: "they keep me on a grounded level" e, purtroppo, dan non è ancora arrivato al livello di fama in cui ti insegnano a mentire, quindi tu che guardi ti accorgi che i suoi genitori anche adesso non sono entusiasti del lavoro che fa.
sua madre - altro inciso - te la immagini abbastanza delusa dalle scelte di dan, te la immagini arrivare ai suoi concerti e guardarlo interdetta sul palco, e quando dal palco scende, correre da suo figlio a dirgli bravo, ma.
il ma è la disgrazia di ogni figlio.
così dan mangan non si considera speciale, quando invece lo è.
non sono le sue canzoni a renderlo speciale, nè l'aria arruffata che - lo ammetto - è ai miei occhi irresistibile.
ciò che lo rende speciale è la sua disponibilità a lasciare la scena alla musica che suona, proprio perchè speciale non si sente. come josh ritter, dan mangan fa un passo indietro e lascia che sul palco salgano prima di ogni cosa le sue canzoni.
l'unicità di un essere umano, ciò che lo rende una persona migliore, sta tutta nella capacità di farsi da parte per raccogliere storie altrui.
l'unicità di un cantastorie sta nella volontà di non essere il centro dell'attenzione su un palco, ma di lasciare che le proprie canzoni e i propri personaggi lo siano.
in fondo, non siamo un po' tutti veicoli? veicoli di parole, di racconti, di storie che gli altri ci chiedono - esplicitamente o meno - di raccogliere, conservare e, a nostra volta, raccontare?
così,
potremmo anche non essere speciali, ma lo possiamo diventare. nel momento in cui ci mettiamo a disposizione del mondo, con l'umiltà di chi sa che è il mondo ad avere tanto da raccontarci, e non viceversa.

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