sono sdraiata su un fianco, sul ciglio della strada, ho la schiena dolorante e i piedi a mollo nella risaia.
penso che il bagnato sia sangue, penso "le gambe me le sento ancora, ma la schiena fa così male".
"aiutatemi" non lo penso, invece: rotola fuori dalla bocca e si ripete ossessivamente finchè non vedo spuntare delle teste attorno a me.
e delle voci.
altre teste: il vecchio che ha investito la mia bici da corsa che farfuglia e mi sembra vecchio, agitato, troppo tremolante per guidare una macchina, il pizzetto di un amico di mio fratello e la sua voce roca, l'accento pronunciato di una ragazza, poi l'arancione acceso dei volontari dell'ambulanza, la faccia di mia mamma, le mani sulla sua bocca e mio padre, investito anche lui - ma solo metaforicamente - dal mio essere così inerme, al bordo della strada, con una scarpa ancora allacciata e l'altra a mollo, insieme a metà della bici, nella risaia.
la risaia che mi ha salvato la vita.
dopo il volo di due metri gentilmente offertomi dal vecchio alla guida della fiat seicento, avrei potuto cadere: sull'asfalto, sulla carrozzeria di un'altra auto, con la testa contro un palo, sulla terra arida di un maggio meno piovoso di questo.
ci sono tanti modi di farsi male, tanti modi per morire.
a morire basta poco. a quanto pare, anche a vivere.
e la risaia sceglie per me: questa qui la facciamo vivere.
vivere,
vivere è un concetto che si ridefinisce completamente nell'arco delle prime 5-6 ore di pronto soccorso: nelle prime due ore conta il respiro.
il verso stay with me let's just breathe di eddie vedder assume tutto un altro significato quando i miei mi stringono le mani e mi guardano negli occhi e ogni respiro mio è un respiro loro e ogni mio dolore loro lo prendono anche sulle loro spalle.
poi diventano di estrema importanza le estremità: le mani, i piedi. li muovo? li muovo. stanotte, la notte che passo da sola al pronto soccorso, stanotte non la dormo perchè non voglio svegliarmi con i piedi che non si muovono.
e dopo le estremità ogni altra parte del corpo diventa vita. non è vita l'insoddisfazione che mi contraddistingue, non le ambizioni, non le aspirazioni, nè i sogni di gloria, le preoccupazioni sul mio lavoro, sul futuro, sull'amore.
sono vita i punti sulla testa, il collo indolenzito, la coscia sinistra su cui è tatuata la canna della mia bicicletta. la vita diventa, di colpo, concreta. tangibile.
negli undici giorni successivi si ridefiniscono mille altre cose: l'amicizia, l'amore, la mia soglia di sopportazione del dolore e delle compagne di stanza, gli obiettivi, i sogni, le speranze.
penso che il bagnato sia sangue, penso "le gambe me le sento ancora, ma la schiena fa così male".
"aiutatemi" non lo penso, invece: rotola fuori dalla bocca e si ripete ossessivamente finchè non vedo spuntare delle teste attorno a me.
e delle voci.
altre teste: il vecchio che ha investito la mia bici da corsa che farfuglia e mi sembra vecchio, agitato, troppo tremolante per guidare una macchina, il pizzetto di un amico di mio fratello e la sua voce roca, l'accento pronunciato di una ragazza, poi l'arancione acceso dei volontari dell'ambulanza, la faccia di mia mamma, le mani sulla sua bocca e mio padre, investito anche lui - ma solo metaforicamente - dal mio essere così inerme, al bordo della strada, con una scarpa ancora allacciata e l'altra a mollo, insieme a metà della bici, nella risaia.
la risaia che mi ha salvato la vita.
dopo il volo di due metri gentilmente offertomi dal vecchio alla guida della fiat seicento, avrei potuto cadere: sull'asfalto, sulla carrozzeria di un'altra auto, con la testa contro un palo, sulla terra arida di un maggio meno piovoso di questo.
ci sono tanti modi di farsi male, tanti modi per morire.
a morire basta poco. a quanto pare, anche a vivere.
e la risaia sceglie per me: questa qui la facciamo vivere.
vivere,
vivere è un concetto che si ridefinisce completamente nell'arco delle prime 5-6 ore di pronto soccorso: nelle prime due ore conta il respiro.
il verso stay with me let's just breathe di eddie vedder assume tutto un altro significato quando i miei mi stringono le mani e mi guardano negli occhi e ogni respiro mio è un respiro loro e ogni mio dolore loro lo prendono anche sulle loro spalle.
poi diventano di estrema importanza le estremità: le mani, i piedi. li muovo? li muovo. stanotte, la notte che passo da sola al pronto soccorso, stanotte non la dormo perchè non voglio svegliarmi con i piedi che non si muovono.
e dopo le estremità ogni altra parte del corpo diventa vita. non è vita l'insoddisfazione che mi contraddistingue, non le ambizioni, non le aspirazioni, nè i sogni di gloria, le preoccupazioni sul mio lavoro, sul futuro, sull'amore.
sono vita i punti sulla testa, il collo indolenzito, la coscia sinistra su cui è tatuata la canna della mia bicicletta. la vita diventa, di colpo, concreta. tangibile.
negli undici giorni successivi si ridefiniscono mille altre cose: l'amicizia, l'amore, la mia soglia di sopportazione del dolore e delle compagne di stanza, gli obiettivi, i sogni, le speranze.
mentre mio padre mi spiega paziente quali procedure dovremo seguire per chiedere il risarcimento all'assicurazione dell'uomo che mi ha investita, aggiunge che non esistono solo danni materiali e fisici, ma anche esistenziali.
esistenziali in che senso? gli chiedo dalla posizione orizzontale forzata che mi obbligano a mantenere ormai da due settimane,
nel senso che l'incidente ti ha cambiata, non sei più la stessa persona.
quanto riesce a cambiarti, una vertebra rotta?
10 comments:
Babe. Ti abbraccio forte forte forte ma senza farti male, non per mandare via la paura ma per cercare in qualche modo di accettarla, di farle spazio e poi di dirle tu stai al tuo posto che qui c'è da vivere, mettere in moto le gambe, pian piano, un passo alla volta, che in piedi abbiamo cose da fare, posti da vedere, voci da sentire, musica, animali, spiriti guida, mare, sole. and miles to go before i sleep and miles to go before i sleep. Ti voglio bene, my dear (and I have been so so frightened).
Non so, a me due mesi di collare e un camion che a tentato di schiacciare me dalla mia sinistra, ha messo una fottuta paura dei camion. Se sono sul sedile passeggero e chi guida si avvicina troppo ad un camion davanti, io mi aggrappo alla cintura e il poggiamano della portiera. Credo siano cose del genere, gli esistenziali.
Rimettiti presto :*
Che brutto.
Mi dispiace, spero ti rimetterai presto, in tutti i sensi che hai espresso nel post.
b. appena ci vediamo ti meriti un abbraccio infinito. non vedo l'ora di sfoltire l'elenco di cose da fare e posti da vedere, per poi riempirlo ancora, l'elenco.
brian: grazie per l'augurio, mi sto già rimettendo, piano piano :)
ah, prezzemolo: io non sono ancora tornata sulla strada dove sono stata investita. e per un po' starò lontana dalla bici, a malincuore perchè di tutti era decisamente il mio mezzo di trasporto preferito...
Ecco, quelle cose lì.
Ehi, leggo tutto questo solo ora. Mi accodo agli auguri di veloce guarigione, e spero tu abbia voglia di ritornare su una bici al più presto.
Un saluto,
m
e invece prendi la bici appena puoi, vai dove sei stata colpita.
sono caduto e stato acciaccato mille volte, se non ci sono problemi motorii resta solo la paura, e questa si leva così.
ho letto la storia su ciclistica.it. solidarietà. posso darti solo questo.
rotafixa
ho letto solo adesso, mi è dispiaciuto tanto. mi raccomando rimettiti presto.
un abbraccio, anche se non ci conosciamo.
matteo grazie per gli auguri,
anonimo grazie per la solidarietà, per ora anche la bici è fuori gioco, appena saremo sistemate tutte e due ci riproverò :)
silvia grazie anche a te, anche se non ci conosciamo
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