lunedì 15 marzo 2010

in cui joshua ferris ci spiega perchè camminiamo anche senza camminare

nel suo secondo romanzo, joshua ferris ti obbliga a camminare.
ti piacerebbe molto leggere "non conosco il tuo nome" comodamente seduto nel vagone della metropolitana, sul sedile di un autobus o a letto prima di addormentarti, ma joshua ferris non te lo concede.
se tim cammina, tu cammini.
se tim si risveglia di fianco a sua moglie dicendole "è tornata", tu devi vestirti con lui e alzarti con lui e nel mezzo della notte camminare con lui.
è una malattia, la sua, forse. finirai il libro e non avrai risposta per questo andare incessante e prepotente del corpo che non ascolta la mente.
una mente che vorrebbe restare, riposarsi nella sicurezza di un lavoro di successo e di una famiglia accogliente. ma il corpo, questo, a tim non lo concede.
cammina perchè deve, camminiamo perchè dobbiamo.
senza rendercene nemmeno conto camminiamo dal momento in cui nasciamo al momento in cui moriamo.
non per piacere - non tutti almeno - cominciamo a camminare in una direzione, sperando che sia quella giusta, sperando che la destinazione sia la prima, ma anche l'ultima.
ma a metà strada per migliaia di volte nel corso della nostra vita siamo costretti a cambiare direzione, perchè la meta perde significato e consistenza.
nei momenti più ottimisti mi piace pensare che questo costante andare che mi rende così simile (e affezionata) a tim sia di tutti, appartenga a tutto il genere umano, in cammino costante da secoli e secoli.
ma è davvero così?
quella malattia che gli appartiene e contro cui lui lotta è una malattia di cui tutti soffriamo?
non c'è cura a quell'andare, perchè quell'andare è malattia e cura, è causa ed effetto, vittima e carnefice.
andiamo perchè andiamo, partiamo per tornare e per poi ripartire di nuovo.
cerchiamo concetti di casa abbastanza stabili da accoglierci per sempre, ma il "per sempre" non trova risposta nella stabilità.
non per tutti, almeno.

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