mercoledì 10 febbraio 2010

in cui josh ritter incide un nuovo album con due delle mie parole preferite di sempre nel titolo

l'album si chiama so runs the world away e uscirà il 23 aprile.

dal 2004 al 2010 sono passati sei anni.
un ipotetico grafico a due variabili (in cui l'asse y rappresenta la crescita della sua barba e l'asse x lo scorrere del tempo) assumerebbe la forma inconfondibile di una montagna dell'idaho: la vetta a rappresentare il momento in cui josh ritter ha avuto la barba più lunga, ovvero la pubblicazione di the historical conquests of josh ritter.

(mi attraggono gli uomini autoironici e sicuri di sè,
dave eggers che intitola il suo esordio a heartbreaking work of staggering genius
josh ritter con le sue historical conquests of josh ritter
e glen hansard che schiocca le dita e ci trasforma in vampiri)

negli ultimi sei anni josh ritter ha pubblicato tre cd e svariati ep, ha corso una maratona, si è sposato e ha scritto un libro. è cresciuto, eppure vestito con il gilet beige e quel cravattino a cui non riesce a fare il nodo mi ricorda il josh ritter che avevo conosciuto nel 2004.
non è cambiato: non il suo sorriso da bambino di cinque anni, non la sua pazienza con il pubblico che lo abbraccia e gli chiede foto e autografi. non la sua curiosità nel sapere come va la vita, cosa fai, se stai bene.
se sto bene io, josh?
io sto bene.

marketa, di anni, ne ha veramente cinque. indossa un vestito di velluto verde pesante e, fondamentalmente, fa il coro. la sua voce è bassa e timida e quando viene il suo momento introduce i pezzi con troppe parole, quelle che anche noi comuni mortali useremmo se fossimo davanti a un pubblico in attesa. snocciola spiegazioni e canta immobile con la chitarra a tracolla. ha tutta l'umiltà che glen hansard ha dimenticato a dublino.

dei tre, l'adulto è lui. glen hansard.
entra con la sciarpa da perfetto milanese alterna-chic, ammicca e tiene il palco con tutta l'esperienza degli anni passati a suonare con i frames in giro per il mondo. gli piace urlare e sussurrare, usa i piedi come strumenti, sbattendoli forte a terra e scherza con umorismo irlandese.
il suo è un entusiasmo più rifinito: dalla vita, dall'esperienza, da quello che vuoi.
quando si inchina leggermente e ci fa basta con la mano, smettiamo di schioccare le dita, di sussurrare i was living in a devil town i didn't know it was a devil town e sappiamo che i suoi occhi ci stanno dicendo che per oggi si va a casa tutti. che lui poteva arrivare fin qui, non di più.

josh ritter è il di più,
quando circumnaviga il microfono - lo fa tutte le volte sì, ma è il continuare a farlo che conta - sfugge al fascio di luce e immerso nel buio si mette a cantare a voce nuda, dimostra che non è la luce ciò che gli interessa, ma quel buio che da anni esplora con i suoi testi.

so runs the world away è il suo settimo album e contiene due delle mie parole preferite di sempre.
mi chiedo se il mondo vada davvero a due velocità, se esista un telecomando per regolare l'intensità del contrasto e la nitidezza delle immagini.
il mondo che conosco qui è radicalmente diverso da quello che ho conosciuto ascoltando the cost e the historical conquests of josh ritter tre anni fa.
quel mondo corre via. corre lontano.
è da raggiungere.

1 comments:

Spino ha detto...

che grande serata... peccato davvero che Josh abbia suonato così poco. E' completamente e meravigliosamente fuori dal tempo

 
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