c'è un segreto che non ho mai confessato a nessuno, in questi ultimi anni di viaggi pianificati o improvvisati.
quasi sempre da sola, almeno nell'andare e nel tornare, io ho paura.
non di disastri aerei, non di catastrofi naturali nè di sconosciuti che mi possano fare male.
fino a qualche minuto prima della partenza ho paura del momento in cui staccherò i piedi da quella metaforica terra che è casa, per quel salto nel vuoto che ha sempre rappresentato un atto di fede nei confronti di ciò che non conosco.
per quanto un viaggio sia organizzato (e i miei non lo sono quasi mai), per quanto proviamo a proteggerci, non possiamo evitare di esporci al mondo.
e farlo è una delle esperienze che più ci spaventano.
in mezzo a piazza degli eroi, dee - che vede per la prima volta nella sua vita l'europa - mi dice che si sente disorientata, immersa com'è in un mondo che non conosce e che, dopo i nostri quattro giorni a budapest, attraverserà da sola.
il disorientamento, per me, è sempre arrivato secondo,
per prima, la paura: il desiderio di rimandare la partenza, sperando che qualche imprevisto cancelli il volo, ritardi il treno, mi faccia rimanere, invece di andare.
ma poco prima della partenza, pochi minuti soltanto, quando l'aereo accende i motori o il treno comincia a muoversi lentamente, in quei momenti di slancio la paura scompare.
come quando da bambini, dopo infiniti tentativi, ci accorgiamo che rimanere in equilibrio sulla nostra bici non è così complicato, ma anzi naturale,
così, negli attimi prima della partenza riconosco la naturalezza dell'andare e lei riconosce me.
si sostituisce alla paura e, come l'istinto del saper pedalare, non mi lascia più.
quasi sempre da sola, almeno nell'andare e nel tornare, io ho paura.
non di disastri aerei, non di catastrofi naturali nè di sconosciuti che mi possano fare male.
fino a qualche minuto prima della partenza ho paura del momento in cui staccherò i piedi da quella metaforica terra che è casa, per quel salto nel vuoto che ha sempre rappresentato un atto di fede nei confronti di ciò che non conosco.
per quanto un viaggio sia organizzato (e i miei non lo sono quasi mai), per quanto proviamo a proteggerci, non possiamo evitare di esporci al mondo.
e farlo è una delle esperienze che più ci spaventano.
in mezzo a piazza degli eroi, dee - che vede per la prima volta nella sua vita l'europa - mi dice che si sente disorientata, immersa com'è in un mondo che non conosce e che, dopo i nostri quattro giorni a budapest, attraverserà da sola.
il disorientamento, per me, è sempre arrivato secondo,
per prima, la paura: il desiderio di rimandare la partenza, sperando che qualche imprevisto cancelli il volo, ritardi il treno, mi faccia rimanere, invece di andare.
ma poco prima della partenza, pochi minuti soltanto, quando l'aereo accende i motori o il treno comincia a muoversi lentamente, in quei momenti di slancio la paura scompare.
come quando da bambini, dopo infiniti tentativi, ci accorgiamo che rimanere in equilibrio sulla nostra bici non è così complicato, ma anzi naturale,
così, negli attimi prima della partenza riconosco la naturalezza dell'andare e lei riconosce me.
si sostituisce alla paura e, come l'istinto del saper pedalare, non mi lascia più.
2 comments:
è una paura che non si sconfigge, ma al massimo si impara a gestire.
e si impara a gestire in un solo modo: viaggiando. da soli. in libertà.
si impara a gestire, hai ragione.
non potevi usare parole più precise e vere.
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