da piccola non ho mai amato i saluti.
sono rimasta così anche da grande, con le persone e con i luoghi .
non mi preoccupa il momento della partenza o la durata del soggiorno, come non mi spaventa conoscere persone nuove o imparare di loro quei gesti e quei particolari che li rendono unici.
invece,
ho sempre avuto paura del momento in cui diventa inevitabile abbandonare luoghi, tornare a casa, lasciar andare le persone.
non sono mai stata capace. sono tornata 6 volte in irlanda, 2 in crozia e non vedo l'ora di volare di nuovo in nuova zelanda. gli addii sono strazianti, per me, per questo li ho evitati quando erano evitabili.
sopportati a malapena quando erano inevitabili.
la miglior cosa che una persona possa imparare è a lasciar andare luoghi e persone nel momento giusto. un po' come in economia, bisogna riconoscere il punto in cui i profitti sono massimizzati e andarsene. in quel preciso istante.
io non l'ho mai fatto.
sono ritornata in luoghi che mi avevano fatta stare bene,
sono rimasta: rimasta, rimasta, rimasta.
contro ogni buon senso, contro ogni logica.
perchè non amavo quella sensazione di non detto, non vissuto, l'impressione che rimanesse ancora qualche luogo da vedere, qualche parola da dire.
ma i luoghi e le persone sono incompleti. incompleti quando li incontriamo per la prima volta, incompleti quando ce ne andiamo.
non ha senso rimanere nella speranza di completarli,
o - peggio - nella speranza di sentirci completi noi dentro di loro.
sono rimasta così anche da grande, con le persone e con i luoghi .
non mi preoccupa il momento della partenza o la durata del soggiorno, come non mi spaventa conoscere persone nuove o imparare di loro quei gesti e quei particolari che li rendono unici.
invece,
ho sempre avuto paura del momento in cui diventa inevitabile abbandonare luoghi, tornare a casa, lasciar andare le persone.
non sono mai stata capace. sono tornata 6 volte in irlanda, 2 in crozia e non vedo l'ora di volare di nuovo in nuova zelanda. gli addii sono strazianti, per me, per questo li ho evitati quando erano evitabili.
sopportati a malapena quando erano inevitabili.
la miglior cosa che una persona possa imparare è a lasciar andare luoghi e persone nel momento giusto. un po' come in economia, bisogna riconoscere il punto in cui i profitti sono massimizzati e andarsene. in quel preciso istante.
io non l'ho mai fatto.
sono ritornata in luoghi che mi avevano fatta stare bene,
sono rimasta: rimasta, rimasta, rimasta.
contro ogni buon senso, contro ogni logica.
perchè non amavo quella sensazione di non detto, non vissuto, l'impressione che rimanesse ancora qualche luogo da vedere, qualche parola da dire.
ma i luoghi e le persone sono incompleti. incompleti quando li incontriamo per la prima volta, incompleti quando ce ne andiamo.
non ha senso rimanere nella speranza di completarli,
o - peggio - nella speranza di sentirci completi noi dentro di loro.
5 comments:
non credo sino incompleti i luoghi e le persone.
siamo incompleti noi, le nostre possibilità di capire, e spiegarci. come vele richiuse in un vento troppo forte.
siamo incompleti nella nostra capacità di incontrarci, di coincidere, di conoscere.
che poi è quello che alimenta la curiosità, il fuoco, la vita.
(siano, accidenti. mica sino. vabbè, hai capito)
sì, intendevo esattamente quello che hai detto tu, e forse mi sono spiegata male nel post. incompleti non a prescindere, ma nel momento in cui ci relazioniamo: ai luoghi, alle persone.
incompleti nel costruire qualcosa che non sarà mai finito, nè per quanto riguarda i luoghi, nè le persone.
mi piace pensarli in perenne costruzione, più che incompleti.
incompleti è un filino più pessimista già
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