martedì 26 ottobre 2010

in cui ho fatto (anche) la barista

dai 19 ai 23 anni ho fatto la barista.
ho iniziato appena diplomata, novembre 2001, e i primi due mesi ho lavorato gratis. non avevo bisogno di soldi - i miei genitori erano più che disposti a pagarmi l'università.
avevo bisogno di espormi, ma avevo ancora paura di farlo. così ho scelto di stare dietro a un bancone, non perchè mi interessasse imparare a fare il mojito, ma perchè era un modo come un altro per espormi, con la sicurezza di un ruolo ben preciso da ricoprire e di un bancone di legno tra me e il mondo.

non era il lavoro della mia vita.

il lavoro della mia vita consiste in un'immersione lenta, meticolosa e silenziosa in dizionari, glossari ed enciclopedie per colmare lo spazio ridotto e contemporaneamente infinito che separa una parola in una lingua dalla sua traduzione in un'altra. ore e ore di silenzio in cui parlo solo con il testo e non ho bisogno di rendere conto a nessuno, di stare simpatica a nessuno, di sorridere a nessuno.

è il lavoro della mia vita.

il lavoro che faccio ora sta a metà tra la barista e la traduttrice: scrivo. e parlo. alle volte mi capita di dover fare domande, alle volte di dover ascoltare anche ciò che non mi interessa. è il lavoro di un'equilibrista dall'indole introversa che si spinge ogni giorno più avanti sul filo, per vedere quanto riesce a mantenerlo, l'equilibrio, quanto riesce a sopportare le sue paure, quanto a vincerle per arrivare dall'altra parte del filo.

dall'altra parte del filo su cui ognuno di noi cammina quotidianamente (o sceglie di non camminare), c'è la persona che potremmo essere. non sono sicura che sia giusto camminare fino in fondo, fino ad allontanare così tanto ciò che siamo da ciò che diventeremo, ma sono sicura che rimanere fermi a un capo del filo senza lasciarsi destabilizzare dalla mancanza di equilibrio non sia per niente una buona idea.

2 comments:

giulia ha detto...

WOW, questo post ha scatenato in me una serie di riflessioni sul lavoro della vita e quello che invece capita e le possibili variazioni e avventure e strade secondarie.
Forse io lo sto capendo ora, qual è il lavoro della mia vita, o forse è solo una deviazione momentanea. Comunque, questa strada bisogna farla.
:-)

Rachele ha detto...

gibì: bisogna farla, sì. in bocca al lupo. anzi: buon viaggio :)

 
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