in up in the air george clooney/ryan bingham è un tagliatore di teste: licenzia persone come se stesse potando rami secchi. taglia con tanta abilità e freddezza che impara a farlo anche per sè.
tra un licenziamento e l'altro si professa guru del disimpegno: la vita è uno zaino e se non vuoi soccombergli fa che sia leggero, leggerissimo.
i bagagli che ci trasciniamo da anni, quelli che comperiamo per sentirci meno soli, le persone che frequentiamo perchè lo abbiamo sempre fatto, quelle con cui usciamo per evitare la solitudine.
con una carriera avviata e il cielo ai suoi piedi, con un bagaglio leggero da spostare su comode rotelle da trolley, ryan a un certo punto, però, dice questo:
scegliere cosa portare e cosa lasciare, a chi affidarsi, di chi dubitare. lo facciamo con noncuranza e fretta: c'è chi nell'insicurezza afferra di tutto, chi piega meticolosamente, chi usa il trolley, chi lo zaino da montagna. c'è chi viaggia con minuscole borse e chi con due o tre valigie. tutti, lì dentro, trasportiamo più di uno spazzolino, un dentifricio e i vestiti per il viaggio.
per la mia prima vacanza all'estero, a 18 anni, comprai il mio primo zaino da montagna. 60 litri - dorme ancora in mansarda - che riempii fino al limite con, lo ricordo ancora, circa 20 magliette e altre cose inutili. pesava 15 kili, sulle ginocchia era una tortura.
con il passare dei viaggi e del tempo il mio bagaglio è andato alleggerendosi: non mi piace perdere tempo nello scegliere cosa mettere in valigia come non sopporto di avere più di un bagaglio in aereo.
con lo zaino devo muovermi facilmente, senza trascinare nulla.
prima di vedere up in the air non avevo realizzato che nello stesso modo in cui ho ripulito la mia valigia dopo il primo estenuante viaggio ho anche imposto a me stessa di non portare con me nessuno di cui io non abbia realmente bisogno.
nel freddo rigido di milano mi rendo conto della mia rigidità: se il codice morale di bingham prevede la libertà da ogni relazione, il mio mi ha imposto di non avvicinarmi alle persone per allontanare la solitudine.
la solitudine è stata a lungo nella mia vita. come un'impresa di traslochi ha svuotato le mie stanze (e il mio zaino) prendendo per sè tutto lo spazio. abbiamo imparato a convivere nel bianco accecante e indefinito di una casa senza mobili: io accogliendo, di mese in mese, di anno in anno, nuovi oggetti, persone e significati, lei diventando, di mese in mese, di anno in anno, più discreta.
dalla sua posizione privilegiata e severa non ha smesso mai di ricordarmi che la sua presenza non sarà meno tangibile se affollerò la mente, le stanze e lo zaino.
così, come ryan bingham, ma per altri motivi, ho svuotato il mio zaino, e ora prima di riempirlo ci penso bene. ci penso due volte. penso se questo mio bisogno non sia solo il bisogno di qualcuno o di te.
and i can't find the one that will help me do the work i've left undone (cause i'm up in the air)
tra un licenziamento e l'altro si professa guru del disimpegno: la vita è uno zaino e se non vuoi soccombergli fa che sia leggero, leggerissimo.
i bagagli che ci trasciniamo da anni, quelli che comperiamo per sentirci meno soli, le persone che frequentiamo perchè lo abbiamo sempre fatto, quelle con cui usciamo per evitare la solitudine.
con una carriera avviata e il cielo ai suoi piedi, con un bagaglio leggero da spostare su comode rotelle da trolley, ryan a un certo punto, però, dice questo:
i don't know what origially sparked the backpack. i probably needed to be alone. recently, i've been thinking that maybe i needed to empty the bag before i knew what to put back in.che gesto meccanico, quello di fare e disfare una valigia.
scegliere cosa portare e cosa lasciare, a chi affidarsi, di chi dubitare. lo facciamo con noncuranza e fretta: c'è chi nell'insicurezza afferra di tutto, chi piega meticolosamente, chi usa il trolley, chi lo zaino da montagna. c'è chi viaggia con minuscole borse e chi con due o tre valigie. tutti, lì dentro, trasportiamo più di uno spazzolino, un dentifricio e i vestiti per il viaggio.
per la mia prima vacanza all'estero, a 18 anni, comprai il mio primo zaino da montagna. 60 litri - dorme ancora in mansarda - che riempii fino al limite con, lo ricordo ancora, circa 20 magliette e altre cose inutili. pesava 15 kili, sulle ginocchia era una tortura.
con il passare dei viaggi e del tempo il mio bagaglio è andato alleggerendosi: non mi piace perdere tempo nello scegliere cosa mettere in valigia come non sopporto di avere più di un bagaglio in aereo.
con lo zaino devo muovermi facilmente, senza trascinare nulla.
prima di vedere up in the air non avevo realizzato che nello stesso modo in cui ho ripulito la mia valigia dopo il primo estenuante viaggio ho anche imposto a me stessa di non portare con me nessuno di cui io non abbia realmente bisogno.
nel freddo rigido di milano mi rendo conto della mia rigidità: se il codice morale di bingham prevede la libertà da ogni relazione, il mio mi ha imposto di non avvicinarmi alle persone per allontanare la solitudine.
la solitudine è stata a lungo nella mia vita. come un'impresa di traslochi ha svuotato le mie stanze (e il mio zaino) prendendo per sè tutto lo spazio. abbiamo imparato a convivere nel bianco accecante e indefinito di una casa senza mobili: io accogliendo, di mese in mese, di anno in anno, nuovi oggetti, persone e significati, lei diventando, di mese in mese, di anno in anno, più discreta.
dalla sua posizione privilegiata e severa non ha smesso mai di ricordarmi che la sua presenza non sarà meno tangibile se affollerò la mente, le stanze e lo zaino.
così, come ryan bingham, ma per altri motivi, ho svuotato il mio zaino, e ora prima di riempirlo ci penso bene. ci penso due volte. penso se questo mio bisogno non sia solo il bisogno di qualcuno o di te.
and i can't find the one that will help me do the work i've left undone (cause i'm up in the air)
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