non ho mai creduto al destino. mai cercato segnali sperando che scegliessero al posto mio la direzione da prendere.
ma se dovessi concedermi un momento solo in cui credere al destino, sarebbe durante un concerto dei pearl jam. nell'attimo esatto in cui eddie, stone, matt e gli altri salgono sul palco, prendono fiato e cominciano a suonare.
il mio destino è tutto in quella prima canzone. o, almeno, lo è stato nel 2006.
nel 2006 i pearl jam avevano cominciato il concerto di milano con go. con una scarica di energia che aveva travolto tutti, lasciando a bocca aperta e stordito l'intero forum. go, diceva eddie. io che non sapevo più cosa fare di me l'avevo preso sul serio quel go. ero uscita dal concerto e avevo fatto domanda per la nuova zelanda.
a berlino i pearl jam suonano in mezzo a un pubblico ubriaco, ma discreto ed educato. chiamale se vuoi contraddizioni del popolo tedesco.
l'arena è all'aperto, immersa nel verde di un parco di periferia. ci sono birre, gelati, magliette e altre birre. suonano i gomez e nessuno li fischia. sono bravi bravissimi, e quella voce graffia, spezza, ricompone, diverte.
poi arriva l'attesa. il palco svuotato aspetta i pearl jam. giochiamo al totocanzone, nessuno indovina.
non mi aspetto nulla. sono mesi, questi, in cui e da cui non mi aspetto nulla: da nessuno, ormai neanche da me stessa. così non mi aspetto nulla neanche da loro, gente che viene da seattle e che cosa vuoi che ne sappia della mia vita.
non mi aspetto nulla, non una risposta a domande che ho paura di farmi.
salgono sul palco. prima boom, poi jeff, mike, stone e matt. per ultimo eddie.
ha i pantaloni corti e i calzini bianchi. è contento, chiacchiera, parla in tedesco e poi prende fiato.
tutti prendono fiato.
l'arena, piena, prende fiato.
e poi il concerto comincia, con why go.
se non conoscete why go questo è il testo. il ritornello è facile: why go home, per quattro volte di fila, rabbioso, e poi what you taught me put me here, don't come visit, mother.
i pearl jam hanno scritto oltre 100 canzoni. spiegami eddie come è possibile che tu abbia scelto proprio why go. proprio in questo preciso momento. proprio questa domanda.
così senza neanche volerlo, senza nemmeno saperlo, a berlino, 15 agosto 2009, con i tuoi calzettini bianchi rispondi alla domanda che continuo a farmi, che non ho il coraggio di farmi.
a cui non voglio rispondere.
why go home.
il destino, e i pearl jam.
c'è uno strano rapporto che ognuno di noi crea con i propri gruppi preferiti. c'è chi li idolatra, chi li segue in capo al mondo, chi deve avere tutto ciò che li riguarda. io ai pearl jam mi sono aggrappata più volte, e non perchè riponessi in loro particolare fiducia. non ho mai pensato, ascoltandoli, che potessero salvarmi. eppure, ascoltandoli, ho trovato forza, rifugio, sicurezza, e in un ferragosto qualunque, una risposta lanciata dal palco del wuhlheide su fino al mio angolo di arena.
sono casa, i pearl jam, e sono viaggio. il bisogno di restare, il desiderio di andare. sono il migliore degli amanti: chi ti regala una sensazione di familiarità e ti spinge contemporaneamente a cambiare, a non rimanere uguale.
se e quando succede, è amore vero.
hail hail, the fixer, corduroy (dio, corduroy), mfc, small town, given to fly, better man.
due encore, eddie che scherza, che rassicura, che alza la voce fino a toccare il cielo. il cielo sopra berlino che si spegne lentamente. rocking in the free world & yellow ledbetter.
ancora una birra, ancora quattro chiacchiere.
la persona che sono, quella che vorrei essere. la risposta alla domanda che mi pulsa nella testa,
dentro una canzone dei pearl jam.
qui il concerto di milano,17 settembre 2006.
[photo: karen loria @ pearl jam official flickr]
ma se dovessi concedermi un momento solo in cui credere al destino, sarebbe durante un concerto dei pearl jam. nell'attimo esatto in cui eddie, stone, matt e gli altri salgono sul palco, prendono fiato e cominciano a suonare.
il mio destino è tutto in quella prima canzone. o, almeno, lo è stato nel 2006.
nel 2006 i pearl jam avevano cominciato il concerto di milano con go. con una scarica di energia che aveva travolto tutti, lasciando a bocca aperta e stordito l'intero forum. go, diceva eddie. io che non sapevo più cosa fare di me l'avevo preso sul serio quel go. ero uscita dal concerto e avevo fatto domanda per la nuova zelanda.
a berlino i pearl jam suonano in mezzo a un pubblico ubriaco, ma discreto ed educato. chiamale se vuoi contraddizioni del popolo tedesco.
l'arena è all'aperto, immersa nel verde di un parco di periferia. ci sono birre, gelati, magliette e altre birre. suonano i gomez e nessuno li fischia. sono bravi bravissimi, e quella voce graffia, spezza, ricompone, diverte.
poi arriva l'attesa. il palco svuotato aspetta i pearl jam. giochiamo al totocanzone, nessuno indovina.
non mi aspetto nulla. sono mesi, questi, in cui e da cui non mi aspetto nulla: da nessuno, ormai neanche da me stessa. così non mi aspetto nulla neanche da loro, gente che viene da seattle e che cosa vuoi che ne sappia della mia vita.
non mi aspetto nulla, non una risposta a domande che ho paura di farmi.
salgono sul palco. prima boom, poi jeff, mike, stone e matt. per ultimo eddie.
ha i pantaloni corti e i calzini bianchi. è contento, chiacchiera, parla in tedesco e poi prende fiato.
tutti prendono fiato.
l'arena, piena, prende fiato.
e poi il concerto comincia, con why go.
se non conoscete why go questo è il testo. il ritornello è facile: why go home, per quattro volte di fila, rabbioso, e poi what you taught me put me here, don't come visit, mother.
i pearl jam hanno scritto oltre 100 canzoni. spiegami eddie come è possibile che tu abbia scelto proprio why go. proprio in questo preciso momento. proprio questa domanda.
così senza neanche volerlo, senza nemmeno saperlo, a berlino, 15 agosto 2009, con i tuoi calzettini bianchi rispondi alla domanda che continuo a farmi, che non ho il coraggio di farmi.
a cui non voglio rispondere.
why go home.
il destino, e i pearl jam.
c'è uno strano rapporto che ognuno di noi crea con i propri gruppi preferiti. c'è chi li idolatra, chi li segue in capo al mondo, chi deve avere tutto ciò che li riguarda. io ai pearl jam mi sono aggrappata più volte, e non perchè riponessi in loro particolare fiducia. non ho mai pensato, ascoltandoli, che potessero salvarmi. eppure, ascoltandoli, ho trovato forza, rifugio, sicurezza, e in un ferragosto qualunque, una risposta lanciata dal palco del wuhlheide su fino al mio angolo di arena.
sono casa, i pearl jam, e sono viaggio. il bisogno di restare, il desiderio di andare. sono il migliore degli amanti: chi ti regala una sensazione di familiarità e ti spinge contemporaneamente a cambiare, a non rimanere uguale.
se e quando succede, è amore vero.
hail hail, the fixer, corduroy (dio, corduroy), mfc, small town, given to fly, better man.
due encore, eddie che scherza, che rassicura, che alza la voce fino a toccare il cielo. il cielo sopra berlino che si spegne lentamente. rocking in the free world & yellow ledbetter.
ancora una birra, ancora quattro chiacchiere.
la persona che sono, quella che vorrei essere. la risposta alla domanda che mi pulsa nella testa,
dentro una canzone dei pearl jam.
qui il concerto di milano,17 settembre 2006.
[photo: karen loria @ pearl jam official flickr]
5 comments:
Ecco, è esattamente quello che mi succede con Bruce: io porto le domande, e lui da le risposte.
Ma come dici tu è una tipologia di esperienza che succede a tutti quelli che credono veramente nei loro gruppi preferiti. Penso che sia questa la salvezza del rock'n'roll, la preghiera del rock'n'roll - e lo dico in senso proprio religioso del termine, che noi finiamo i concerti giusti come dei miracolati, noi che ci crediamo. E non è poi una cosa così assurda, intanto perché noi le nostre divinità ce le abbiamo in carne e ossa davanti agli occhi quando siamo lì, ed è a noi che parlano individualmente ed insieme, altrimenti non saremmo lì, e non ci sarebbero neanche loro. Ma anche perché la preghiera serve solo a quello: serve a farti vedere qualcosa chiaramente e a farti capire che fare e dove andare, non a darti false illusioni che qualcosa dal cielo pioverà e poi si andrà tutti in paradiso se si riga dritto.
(Parlo da atea che ha un grande interesse verso chi crede davvero e un grande odio per l'organizzazione sociale e la macchina religiosa in toto. E poi comunque la mia fede in Bruce la professo loud and proud, visto che i segni ci sono tutti.)
(Davvero dovresti leggere A Prayer for Owen Meany, che questo discorso si fa poi anche lì, ma senza i pearl jam. Anche se si dice che Even Flow sia ispirata al libro, e io da sempre penso che Yellow Ledbetter sarebbe la canzone dei credits finali se mai io ne dirigessi una versione per la tv in 6 episodi...)
grazie tantissimo di aver condiviso con me il tuo concerto dell'anno. Il concerto dell'anno è qualcosa che non ci sono parole a sufficienza. Meglio di innamorarsi, a mio avviso.
bellissimo l'inciso sui gruppi preferiti, vado a ritumblerare chi ha già tumblerato.
alli meglio di innamorarsi. non si poteva dirlo meglio.
applausi per "fede", post e foto. pochi giorni fa ho postato proprio il pezzo iniziale del concerto. diciamo che ho portato fortuna... ahahah ciao.
allora devo ringraziare te cidindon e non eddie per il pezzo :)
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